Pianificazione finanziaria: da processo meccanico ad approccio alla professione di consulente finanziario indipendente
Gruppo di Lavoro: Pianificazione Finanziaria Indipendente
Sommario
1. Cosa s'intende per "pianificazione finanziaria"
I. Definizione
2.Lo sviluppo storico del concetto di pianificazione finanziaria
3.La pianificazione finanziaria come processo
I.Le sei fasi del processo di pianificazione
II.UNI ISO 22222
III.CFP e le altre certificazioni
4.Perché pianificare? Le basi teoriche della pianificazione
5.Consulente/pianificatore, consulente/analista: differenze e similitudini
6.La pianificazione finanziaria come approccio alla professione
I.Obiettivi? Guadagnare molto e rischiare poco…
II.Vendere la pianificazione?
III.Stabilire il rapporto con il cliente
IV.Identificare gli obiettivi: ci vuole tempo!
V.La pianificazione come processo continuo
4. Perché pianificare? Le basi teoriche della pianificazione finanziaria
In questa sezione affrontiamo brevemente le ragioni profonde che inducono un libero professionista, in scienza e coscienza, a preferire - ogni volta che ciò sia applicabile nel caso concreto - l’approccio della pianificazione finanziaria rispetto a quello dell’analista finanziario.
E’ opportuno precisare immediatamente che nessuna teoria sul funzionamento dei mercati finanziari potrà mai condurre a conclusioni definitive sul migliore approccio ai mercati finanziari. La finanza, infatti, non è certo una scienza esatta. L’ “oggetto di studio” ultimo degli economisti che si occupano di mercati finanziari è l’essere umano stesso dal momento che i mercati sono - in ultima analisi - una forma di interazione fra essere umani (per quanto sempre più mediata dalla tecnologia).
Le teorie sul funzionamento dei mercati finanziari forniscono ottimi spunti di riflessione, ma dal momento che si occupano di un settore strutturalmente in mutamento non è ragionevole attendersi da questi studi supporti per assumere posizioni estremamente rigide.
Fatta questa doverosa premessa, veniamo al punto. Pianificare significa essenzialmente gestire l’incertezza. Si pianifica perché è necessario fare scelte in condizioni di incertezza. Nel campo finanziario, pianificare ha senso fondamentalmente perché non si è in grado di fare previsioni sull’andamento futuro dei mercati. O meglio: perché queste previsioni non hanno un grado di affidabilità tale da basarvi le scelte di allocazione strategiche. Si diventa fermi sostenitori delle pianificazione finanziaria solo quando si possiede la ferma convinzione che i mercati finanziari siano realmente imprevedibili. Ma lo sono? Vediamo.
I mercati finanziari sono prevedibili?
Lo studio sulla variazione dei prezzi dei mercati finanziari viene fatto comunemente risalire ai primi del ‘900 e più precisamente al 24 Marzo 1900 quando Louis Bachelier presentò la tesi per la laurea in matematica dal titolo “Théorie de la spéculation”. L’intuizione alla base di questa tesi, ovvero che le variazioni dei prezzi delle attività finanziarie si comportano come se fossero casuali (random walk theory), viene comunemente accettata ancora oggi.
Nel 1970 ha iniziato a diffondersi la teoria dei mercati efficienti (EMH, Efficient Market Hypothesis) proposta da Eugene Fama (allievo del grandissimo matematico contemporaneo B. Mandelbroat, inventore della geometria frattale) secondo la quale in un mercato efficiente i prezzi riflettono sempre tutta l’informazione disponibile. In altre parole, i prezzi sono il riflesso delle aspettative razionali degli operatori - generate dalla informazioni disponibili - sull’andamento futuro del titolo. Secondo questa teoria, il prezzo rappresenta sempre la migliore stima del valore intrinseco, ne consegue che è impossibile ottenere sistematicamente rendimenti superiori a quelli di mercato, dopo una ponderazione per il rischio e i costi di transazione.
L’ipotesi dei mercati efficienti ha provocato un ampio dibattito accademico che si sviluppa ancora oggi. Numerose critiche sono state formulate a questa ipotesi, ma nessuna è ancora riuscita a scalfirne l’essenza. Le varie critiche hanno prodotto alcune varianti all’ipotesi principale al fine di rendere la teoria più vicina alla realtà dei mercati finanziari (accenneremo più avanti ad una molto convincente).
Sebbene sia evidente che molti degli assunti della teoria (uno fra tutti: il fatto che gli operatori agiscano razionalmente con la finalità di massimizzare l’utilità personale) non siano pienamente condivisibili, le centinaia di ricerche empiriche che sono state prodotte dimostrano che la base della teoria (ovvero l’impossibilità per gli operatori di ottenere extra-profitti rispetto al mercato, facendo le correzioni del caso per il rischio ed i costi) ha mostrato una notevole forza.
Fra i moltissimi studi in materia compiuti citiamo in particolare il lavoro del prof. Burton G. Malkiel della Princeton University con il suo celebre best-seller tradotto anche in italiano con il titolo “A zonzo per Wall Street”, 2001, Sperling & Kupfer Editori. In un paper del 2003 (The efficient market hypothesis and its critics, CEPS Working Paper No. 91, Princeton University) il prof. Malkiel passa in rassegna una numerosa serie di studi sull’efficienza dei mercati (favorevoli ma in particolare quelli contrari) e conclude che: “il nostro mercato azionario è più efficiente e meno prevedibile di quanto molti recenti paper accademici ci hanno fatto credere.”
Eugene Fama ha distinto l’efficienza informativa in tre forme (debole, semi-forte e forte) a seconda del tipo di informazione che si ipotizza essere immediatamente riflessa nel prezzo. Secondo questa ipotesi, gli investitori non possono ottenere sistematicamente rendimenti superiori a quelli del mercato, una volta fatte le opportune correzioni per il rischio e per i costi se:
- (forma debole) i prezzi riflettono completamente tutte le informazioni passate relative ai prezzi stessi;
- (forma semi-forte) i prezzi riflettono tutte le informazioni di dominio pubblico;
- (forma forte) i prezzi riflettono tutte le possibili informazioni, anche quelle degli insiders, ossia di coloro che godono di informazioni non disponibili al pubblico.
Le conseguenze di queste teorie sul lavoro degli analisti finanziari (siano essi portati all’analisi tecnica o fondamentale) sono molto forti. Qualora si dimostrasse che il mercato ha una forma di efficienza informativa almeno semi-forte, l’analisi finanziaria sarebbe sostanzialmente inutile. Anche per questa ragione sono stati compiuti, come già accennato, numerosi studi volti a verificare se sia possibile ottenere extra-rendimenti - aggiustati per i costi e per i rischi - sulla base dei prezzi passati applicando le più svariate strategie.
Secondo la maggioranza degli economisti, i risultati conseguiti da questi test empirici dimostrerebbero la sostanziale validità della tesi dell’efficienza informativa dei mercati almeno nella forma debole e semi-forte. In realtà le evidenze sono notevoli ma non del tutto univoche; rimangono alcune anomalie marginali alle quali sovente i sostenitori dell’analisi tecnica si aggrappano per dimostrare l’invalidità dell’EMH.
La questione di fondo, però, rimane quella del meccanismo in base al quale i prezzi dovrebbero riflettere, correttamente e velocemente tutte le informazioni disponibili. Qui nasce un paradosso. Se tutti gli operatori ritenessero che i mercati sono efficienti e che i prezzi riflettono sempre, correttamente e rapidamente tutte le informazioni disponibili, non verrebbero spese risorse per analizzare la correttezza dei prezzi attuali in funzione delle nuove informazioni ed i prezzi non rifletterebbero più tutte le informazioni disponibili. Viceversa, più operatori credono il contrario e più saranno incentivati a dedicare risorse nel verificare che il prezzo di mercato rifletta il valore intrinseco secondo la loro valutazione delle informazioni disponibili. Così facendo, il prezzo di mercato tenderà ad essere sempre molto vicino al valore intrinseco inteso come somma di tutte le valutazioni degli operatori. In sintesi, quindi, il paradosso è che il mercato è tanto più efficiente quanto più gli operatori non credono nell’efficienza del mercato e viceversa.
La critica principale all’EMH riguarda il presupposto della razionalità degli operatori. Ricordiamo, infatti, che secondo la teoria dei mercati efficienti, è impossibile ottenere extra-rendimenti, aggiustatiti per i costi e per il rischio, rispetto ai mercati per il fatto che i prezzi riflettono rapidamente e correttamente tutte le aspettative razionali scaturite dalle nuove informazioni disponibili. Il presupposto affinché questo avvenga è che gli operatori siano in grado di crearsi delle aspettative razionali. In altre parole il presupposto è che gli operatori finanziari operino razionalmente con lo scopo di massimizzare il proprio profitto personale. Il lavoro di due psicologi israeliani, Amos Tversky e Daniel Kahneman (premio nobel per l’economia nel 2002), ha dimostrato che gli esseri umani sono tutt’altro che razionali nel compiere scelte economiche finanziarie. Al contrario, gli esseri umani sono soggetti a sistematici errori di valutazione. Tversky e Kahneman hanno codificato e sistematizzato molti di questi “errori mentali” e sono arrivati, nel 1980, alla elaborazione di una teoria sul funzionamento dei mercati finanziari che prende il nome di “Prospect Theory”. Gli studi di Tversky e Kahneman hanno favorito la nascita di una branchia nuova della finanza che prende il nome di “finanza comportamentale” la quale cerca di spiegare i mercati finanziari partendo dall’osservazione dei comportamenti reali degli operatori. Dal momento che gli operatori non sono affatto razionali è evidente che i prezzi, diversamente da quanto prescrive la EMH, difficilmente saranno “corretti” (rifletteranno il “vero” valore del titolo) poiché gli operatori non hanno gli strumenti per valutare sempre correttamente e razionalmente tutte le informazioni disponibili. Ciò non significa, però - diversamente da quanto affermano alcuni analisti finanziari - che le teorie di finanza comportamentale dimostrano che ci sono spazi per prevedere i mercati finanziari. Barberis, Thaler in “A survey of behavioral finance”, 2003, Handbook of the Economics of Finance, sottolineano giustamente come l’assunto secondo il quale a prezzi corretti consegue l’impossibilità di “free lunch” o pasti gratis da cogliere non esclude a priori che possa dirsi vero il contrario
Il fatto che probabilmente i prezzi non siano corretti, cioè non siano pari al loro valore intrinseco, non significa che esistano opportunità di profitto aggiustate per il rischio da sfruttare. I prezzi “non corretti” possono rimanere tali per molto tempo ed i suoi eventuali “aggiustamenti” possono avvenire sia per effetto di un riallineamento del prezzo, sia per effetto di un riallineamento del “valore intrinseco”. Il fatto che gli operatori finanziari siano irrazionali non significa affatto che i mercati finanziari siano prevedibili.
Vi è poi un altro aspetto. Il fatto che vi siano investitori non razionali non significa necessariamente che il prezzo espresso dal mercato sia irrazionale. Rubinstein, in “Rational markets: yes or not? The affirmative case”, 2000, UC Berkeley, anche alla luce degli studi sulla finanza comportamentale, ripropone la tesi della sostanziale razionalità del mercato, afferma: “nonostante i mercati non siano perfettamente razionali, essi sono almeno razionali in forma minima: nonostante i prezzi non siano stabiliti come se tutti gli investitori fossero razionali, non ci sono ancora opportunità di profitto anormali per gli investitori che sono razionali” ed ancora: “anche in un mercato razionale può esistere qualche reale anomalia e qualcuno può avere la fortuna di sfruttarla, ma ex-ante i profitti attesi non sono maggiori di zero”,
Nel 2004 Andew W. Lo ha presentato una evoluzione del modello dei mercati efficienti che prende il nome di “Adaptive Markets Hypothesis”. In questo modello, il mercato è composto da varie “classi” di operatori tutte in lotta per la sopravvivenza sul mercato. Ciascun gruppo di operatori ha caratteristiche e obiettivi diversi: più o meno razionali, più o meno votati alla speculazione. I mercati finanziari attraversano varie fasi nelle quali si alternano i gruppi “vincenti”, che in quel momento dominano il mercato, ed altri che stentando rischiano di uscire dal mercato. Una visione del genere, molto più aderente alla realtà, è in grado di tenere insieme le nuove istanze della finanza comportamentale con le solide evidenze empiriche a sostegno dell’EMH.
In conclusione, su questo aspetto, abbiamo visto come le evidenze empiriche dimostrano la sostanziale impossibilità di ottenere sistematicamente extra-rendimenti, aggiustati per i costi e per il rischio, rispetto al mercato utilizzando le informazioni disponibili (derivanti ad esempio dai prezzi passati). Ciò non significa che i prezzi siano necessariamente “corretti”, cioè simili al valore intrinseco. Il punto di fondo è che tutti i principali studi effettuati dimostrano che i mercati finanziari sono sostanzialmente imprevedibili.
Questa è una motivazione teorica molto solida a sostegno della pianificazione finanziaria.
Un consulente finanziario indipendente, senza il supporto di una approfondita analisi delle caratteristiche e degli obiettivi del cliente, può certamente eliminare le inefficienze del portafoglio (eliminando i costi inutili ed i rischi diversificabili), ma quando si giunge al momento di stabilire se sia il caso di assumere determinati rischi sistematici solo la bussola delle caratteristiche e delle esigenze del cliente può consentire al professionista di fare un lavoro in scienza e coscienza. Qualunque altra decisione sarebbe arbitraria, priva di fondamenti teorici.
Consulenza di processo ed i bisogni umani
La differenza fra l’approccio alla professione del “consulente analista” rispetto a quella del “consulente pianificatore” è inquadrabile anche alla luce del lavoro teorico sulla consulenza svolto dal famoso professore del MIT Edgar H. Schein. Secondo gli studi di Schein si possono identificare tre modelli base di consulenza:
- La consulenza del venditore. Il consulente propone al cliente una soluzione preconfezionata magari tratta da un ventaglio di possibilità adattandole alle richieste del cliente.
- La consulenza dell’esperto. E’ il modello “medico-paziente”, nella terminologia di Schein. Il consulente fa una diagnosi e propone la cura al cliente.
- La consulenza di processo. La soluzione del problema nasce dall’interazione fra consulente e cliente all’interno di un processo gestito dal consulente: il consulente aiuta il cliente ad aiutare se stesso.
Schein afferma che "la gestione delle cose umane è in gran parte una questione di progettazione e gestione di processi" ed ancora "L'incapacità progettuale costituisce uno dei più gravi problemi che manager, insegnanti e consulenti devono affrontare".
Tralasciamo il primo approccio che in questa sede (considerato che ci rivolgiamo a colleghi che hanno spostato l’idea del fee-only) evidentemente non ha bisogno di commenti.
Il secondo approccio è quello tipico di chi “ha la soluzione”, di chi conosce determinate nozioni e le mette a disposizione del cliente. Il ruolo del cliente è quello di definire il problema, il ruolo del consulente quello di risolverlo. Esemplificativo di questo modello la frase del medico che ripete: “I sintomi! Lei si limiti ad elencarmi i sintomi che la diagnosi la faccio io”. In alcuni ambiti questo modello è perfettamente funzionale.
Il presupposto affinché questo modello funzioni è duplice: il cliente deve avere un problema molto chiaro e circoscritto (ad esempio: vuole eliminare la malattia che lo affligge) ed il consulente deve avere gli strumenti ed il know-how per risolverlo.
In altri ambiti i problemi dei clienti sono molto meno chiaramente identificati e circoscritti e/o la soluzione al problema risiede molto più nella sfera operativa del cliente rispetto a quella del consulente il quale può agevolare la soluzione, ma non essere il principale fattore di soluzione.
In questi ambiti il modello di consulenza vincente è quello della consulenza di processo.
L’approccio alla consulenza finanziaria del “consulente analista” ruota attorno al secondo modello di consulenza individuato da Schein. Il focus del rapporto professionale del “consulente analista” è il suo “know-how” relativo ai mercati finanziari. Il cliente deve circoscrivere l’ambito del problema (cioè definire il profilo del cliente il quale viene poi “tradotto” in termini di rendimento atteso / rischio accettato) ed il “consulente analista” fornisce la soluzione (l’asset allocation “corretta” ed eventuali strategie di ribilanciamento).
Questo modello soffre di un problema strutturale: la definizione del profilo del cliente è poco più di una finzione. Il consulente è perfettamente a conoscenza del fatto che gli stessi processi di determinazione del profilo effettuati un anno prima avrebbero portato a risultati diversi e ripetendo lo stesso processo a distanza di qualche mese si potrebbe giungere ad un terzo tipo di profilo.
Il problema di base è che il cliente non è in grado di definire un obiettivo di rendimento né di rischio poiché questi concetti attengono prettamente al mondo finanziario e non all’esperienza del comune investitore. Poiché nell’approccio alla consulenza finanziaria del “consulente analista” la definizione del problema (cioè il profilo di rischio) è particolarmente labile, la percezione del cliente di “soluzione del problema” diventa piuttosto aleatoria indipendentemente dagli effettivi “risultati” del “consulente analista”.
A prescindere dai punti di vista sui mercati finanziari, la grande maggioranza dei consulenti finanziari non può che concordare con la seguente affermazione: fra le molte variabili che entrano in giorno nella determinazione della corretta allocazione delle risorse economico/finanziarie di una famiglia, la definizione di obiettivi sostenibili e di aspettative ragionevoli è di gran lunga quella più importante.
Solitamente il cliente non ha gli strumenti per distinguere gli obiettivi sostenibili da quelli semplicemente desiderabili né le aspettative ragionevoli da quelle irragionevoli. Il primo problema della consulenza finanziaria, quindi, è quello di supportare il cliente nella corretta definizione degli obiettivi.
A questo scopo, il modello di “consulenza dell’esperto”, per usare le categorie di Schein, è il meno adeguato. Siamo in un campo nel quale la soluzione del problema risiede chiaramente all’interno del perimetro del cliente, sebbene egli stesso non riesca a definirla chiaramente. Affinché la soluzione emerga è necessario un processo nel quale il cliente stesso sia parte attiva. Stiamo chiaramente parlando di un tipico esempio di consulenza di processo, secondo la definizione di Schein, ovvero il processo di pianificazione finanziaria.
Solitamente, una consulenza richiede l’applicazione sia del modello “consulenza dell’esperto” sia del modello “consulenza di processo”. Il consulente deve essere capace di cambiare modello in funzione della fase della consulenza. Nel campo della consulenza finanziaria, la prima fase, quella più importante, relativa alla definizione delle caratteristiche e degli obiettivi finanziari del cliente, è senza dubbio caratterizzata dal modello “consulenza di processo”. Secondo Schein, uno degli obiettivi principali della consulenza di processo è quello di coinvolgere il cliente e farlo partecipare all'intero processo che porterà poi alla soluzione del problema. Schein identifica una serie di “strumenti operativi” della consulenza di processo (come ad esempio la “ricerca attiva”) che dovrebbero far parte del bagaglio cognitivo di ogni pianificatore finanziario.
Tirar fuori i reali bisogni finanziari dei clienti, infatti, non è affatto un processo facile da realizzare. Il modello di “consulenza dell’esperto” è indubbiamente molto più facile da applicare. Per quanto complesso possa essere il “know-how” da utilizzare, una volta acquisito, si tratta pur sempre di applicare alcune tecniche all’interno di un ambito solitamente ben circoscritto.
Nel caso della consulenza di processo, si tratta di “andare alla ricerca” insieme al cliente della soluzione. E’ il caso della fase del processo di pianificazione finanziaria nella diventa essenziale seguire innanzitutto un percorso per la definizione degli obiettivi, che, solitamente, non sono chiaramente identificati nella mente del cliente. Non è detto che il cliente sia immediatamente disposto a seguire il percorso con il consulente. Si tratta di capire e saper gestire le dinamiche della relazione cliente-consulente: in questo, il lavoro di Schein è molto utile al pianificatore finanziario.
Un ultimo contributo teorico fondamentale per il lavoro del pianificatore finanziario che vogliamo citare in questa sezione è il prezioso lavoro dello psicologo americano Abraham Maslow, fondatore della psicologia umanistica. Abbiamo visto come il compito principale del pianificatore sia l’assistenza al cliente nella definizione degli obiettivi di vita, collegati ad esigenze finanziaria. Fra le competenze del consulente, quindi, devono esserci quelle psicologiche che lo mettano in condizione di aiutare il cliente a definire tali obiettivi. In questo contesto, il lavoro di Maslow è senza dubbio un punto di riferimento.
Egli, infatti, ha delineato una sorta di “mappa” dei bisogno umani, nota come “Piramide di Maslow” o “Gerarchia dei bisogni”. Nella versione originale della piramide (che poi lo stesso Maslow ha leggermente modificato), egli distingue cinque gradini gerarchici. Si parla di gradini “gerarchici” perché, secondo Maslow, i bisogni dei gradini precedenti sono più importanti e solo dopo aver soddisfatto questi si manifestano i bisogni dei gradini successivi. La cosa è evidente con i bisogni primari del primo gradino, cioè quelli fisiologici: fame, sete, sonno, potersi coprire e ripararsi dal freddo.
Il secondo gradino esprime i bisogni di sicurezza, riferiti alla rassicurazione minima per poter andare avanti, la soddisfazione di questi bisogni deve garantire all’individuo protezione e tranquillità.
I bisogni sociali si collocano al terzo posto della scala, consistono nella necessità di sentirsi parte di un gruppo, di essere amato e di amare e di cooperare con altri. Si tratta di bisogni particolarmente avvertiti nell’adolescenza.
Il quarto gradino, il bisogni di stima, comprendono i bisogni dell’Io esteriore, espressione del modo in cui si vorrebbe essere percepiti e considerati dal mondo esteriore, riguarda il bisogno di essere rispettato, apprezzato ed approvato, di sentirsi competente e produttivo.
Il quinto e più alto gradino è la realizzazione dell’Io interiore, la realizzazione compiuta di se stesso intesa come l'esigenza di realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo.
L’essere umano deve percorrere i gradini della piramide uno dopo l’altro, nell’ordine e senza salti.
Approfondire il lavoro di Maslow aiuta il pianificatore finanziario nella definizione delle caratteristiche del cliente. Fra i pianificatori finanziari americani (in USA il lavoro di Maslow ha riscontrato maggior successo rispetto al vecchio continente) si sta iniziando a diffondere la pratica di utilizzare graficamente la piramide di Maslow come strumento operativo durante i colloqui iniziali volti a determinare i reali bisogni di vita collegati ad esigenze finanziarie. Come abbiamo visto, sovente, i clienti non hanno ben chiare le priorità. Fornire uno schema, molto generale, di gerarchia dei bisogni, può essere d’aiuto in questo senso.
Il lavoro di Schein e Maslow ci evidenzia come nell’approccio alla consulenza finanziaria del “consulente pianificatore” il focus non è posto sul know-how tecnico relativo ai mercati finanziaria, bensì sulle capacità del consulente di aiutare il cliente a definire prima una serie di obiettivi di vita collegati ad esigenze finanziarie e successivamente un piano in grado di massimizzare le probabilità di centrare quegli obiettivi. Si tratta di capacità che appartengo maggiormente al dominio delle scienze umanistiche. In fondo, come abbiamo ricordato all’inizio di questa sezione, parlando di mercati finanziari parliamo sempre di una modalità di interazione fra esseri umani. Questo è vero a livello macro ed a livello micro.
Bibliografia ragionata
In ordine alla non prevedibilità dei mercati finanziari alcuni libri rappresentano dei veri e propri “must” per i consulenti finanziari dovendone indicare tre proporremmo:
- Malkiel Burton G., “A zonzo per Wall Street”, 2001, Sperling & Kupfer Editori
- Taleb Nassim M., “Giocati dal Caso - Il ruolo della fortuna nella finanza e nella vita”, 2003, Il saggiatore Editore
- Mandelbrot B., “Il disordine nei mercati”, 2005, Einaudi
Altri libri sul tema sono sono interessanti da leggere come:
- Berstein P. L., “Più forti degli dei”, 2002, Il sole 24 ore
- Paulos John Allen, “Un matematico gioca in Borsa”, 2003, Garzanti
- Taleb Nassim M. “Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita”, 2008, Il saggiatore
Fra i paper, la maggior parte dei quali reperibili in rete:
- Fama E.F., “The behavior of stock market prices”, 1965, Journal of Business
- Fama E.F., “Efficient capital market: a review of theory and empirical work”, 1970, Journal of Finance
- Fama E.F., “Efficient capital market: 2”, 1991, Journal of Finance
- Fama E.F., “Market efficiency, long-term returns, and behavioral finance”, 1997, Journal of Financial Economics
- Mandelbrot B., “When can price be arbitraged efficiently? A limit to the validity of the random walk and martingale models, 1971, Review of Economics and Statistics
- Rubinstein Mark, “Rational markets: yes or not? The affirmative case, 2000, UC Berkeley
- Walter C., “The efficient market hypothesis, the gaussian assumption, and the investment management industry”, 2003, Institute of Actuaries
- Granger, C.W.J., Timmermann A., (2004), “Efficient market hypothesis and forecast- ing”, International Journal of Forecasting, 20, 15-27
- Malkiel, B.G., (1992), “Efficient market hypothesis”, New Palgrave Dictionary of Money and Finance, London: Macmillan
- Malkiel, B.G., (2003), “The efficient market hypothesis and its critics”, CEPS Working Paper No. 91, Princeton University
- Granger, C.W.J., (1992), “Forecasting stock market prices: Lessons for forecasters”, International Journal of Forecasting, 8, 3-13
In ordine al tema della consulenza di processo e della teoria dei bisogni umani i due testi di riferimento sono:
- Schein Edgar H. “La consulenza di processo. Come costruire le relazioni d'aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo”, 2001, Cortina Raffaello
- Maslow Abraham H “Motivazione e personalità”, 1992, Armando Editore